Marco Forni - www.marco4ni.it

parolando

La vita è qui: ora

 

Non se ne parla – quasi mai. Atterrisce, meglio evitarla, facendo i debiti
scongiuri. È estraniante. Mette in subbuglio l’affannoso diktat del nostro ego, la routine quotidiana.
Lei, attende tutti al varco.
Quando accade e possiamo pensarci su riguarda gli altri.
– Hai sentito? Si è spento ieri sera.
– Cosa? Non è possibile. Ci siamo sentiti ancora l’altro giorno. Stava bene.
La vita.
C’è e – in un attimo – non c’è più.
La perdita di una persona cara ci sconvolge, ci lascia senza parole. Veniamo colti da un
senso d’ingiustizia o di paura.
Domande e perché affastellano la mente: Che senso ha la vita? Che senso ha vivere, se
da un momento all’altro potremmo non esserci più?
Lo sgomento pare confluire in una amara constatazione: l’insensatezza della vita.
Nel Secondo libro di Samuele poi si dissipa qualsiasi tentennamento: “Infatti, noi tutti
dobbiamo morire e, come l’acqua versata per terra non si può più raccogliere, così Dio
non ridà la vita.”
La morte – degli altri – ci restituisce l’immagine tangibile che la nostra esistenza ha un
inizio e una fine. Tutto è transitorio. Nulla è per sempre. La vita è un batter d’ali e a
molti non è concesso neppure di spiccare il volo.
Che la paura, il dolore, il morire possano anche contenere una dimensione positiva, è
ben lungi dal nostro modo d’intendere gli accadimenti della vita.
Cerchiamo di continuo un senso, che ci aiuti a vivere la vita. Ci poniamo obiettivi. Ci
diamo da fare. Ci teniamo occupati. Siamo affacendati dalla mattina alla sera.
Aneliamo il tempo libero. Lui sì, discioglie le ansie quotidiane e ci fa stare bene.
Meno male, lui c’è.
Tentiamo di vivere la nostra vita.
Facciamo di tutto per non soccombere. Appunto.

 

A volte c’invischiamo in un’attesa spasmodica all’insegna di q u a n d o ci saranno le
giuste condizioni a l l o r a farò. Sarà allora che saprò agire nel migliore dei modi. Tergiversiamo.
Il tempo della vita, però, non arresta il suo corso per aspettare noi.
È un assillante rimandare la nostra vita a più tardi, quando sarà il momento giusto.
Nel frattempo continuiamo a degustare un manicaretto stantio. Insaporito dai rimpianti
del passato, zuccherato dalle lagne del presente e condito con alcune stille essenziali
d’inquieto avvenire.
E i nostri desideri del “quando–allora” sono destinati a restare inesauditi.
Generalmente i pensieri vivono – in comunione con la nostra coscienza – di più nel
futuro o nel passato, che non nel presente. La vita nel presente pare venga naturalmente
disattesa.
Si è portati a spostare le lancette dell’orologio avanti o indietro.
La certezza del vivere invece è ora.
Il presente è vivo, mutevole e intriso di sorprese.
Il passato non è più.
Il futuro, a ben sentire, neppure esiste.
Siamo qui ora.
Lo stare al mondo può risolversi nel q u a n t o . L’esserci nel c o m e .
Accompagnando una persona morente avvertiamo che alla fine della vita non contano
le belle parole, le cose, le conquiste effimere. Nulla di tutto questo uno può portarselo
con sé.
Il tempo che precede la morte, anche se brevissimo, è prezioso.
Lasciamoci ammantare dalla compassione. Nel senso più nobile del termine è condivisione.
La morte corporea è incontrovertibile. Il ricordo invece, che si dipana nel nostro presente, è un dono che ci appartiene. Percorre liberamente i sentieri inesplorati della
memoria. Ci restituisce i nostri cari, che continuano a riproporsi dentro di noi, insieme
a noi.
Se ci ponessimo ogni giorno la domanda:
– E se questo fosse l’ultimo giorno della mia vita, come vorrei viverlo?
Ci tornerebbe naturale assaporare ogni istante, riconciliarci con il mondo e con chi
ci sta intorno.
 Ecco allora che l’inghippo irrisolto del quando–allora, si squaglierebbe
come neve al sole.
E così, passo passo, iniziamo a restituirci a noi stessi.

Marco Forni